L’America di Trump non convince più nessuno

Sondaggi impietosi dall’Europa: fiducia ai minimi, timori ai massimi. La superpotenza non è più un esempio.

Trump

C’è una barriera, silenziosa ma solida, che si alza tra Donald Trump e l’Europa. Non è fatta di cemento o filo spinato, ma di giudizi netti, opinioni negative, sfiducia crescente. Il recente sondaggio dell’European Council on Foreign Relations non lascia spazio a interpretazioni di comodo: in gran parte del continente europeo, il ritorno di Trump alla guida degli Stati Uniti non è accolto con speranza o curiosità, ma con ostilità e inquietudine.

A distanza di pochi mesi dalla sua vittoria elettorale, l’immagine di Trump si è ulteriormente deteriorata. In sei dei dodici Paesi intervistati, le maggioranze assolute vedono nella sua figura un fattore destabilizzante. In Danimarca, dove ancora pesa il ricordo delle sue bizzarre mire sulla Groenlandia, l’86% degli intervistati descrive il sistema politico statunitense come “rotto”. Nel Regno Unito, da sempre partner privilegiato di Washington, solo il 12% ritiene che la sua elezione possa essere positiva per il Paese. E in Germania, uno dei pilastri dell’ordine liberal-democratico europeo, il 67% condivide la stessa diagnosi impietosa sullo stato della democrazia americana.

Questi numeri non sono semplici indici di popolarità: sono sintomi. Rivelano un disallineamento profondo, culturale e strategico, tra le democrazie europee e il modello politico incarnato da Trump. Un modello percepito come populista, autoritario nei toni, incapace di affrontare le grandi sfide globali con spirito cooperativo. Il dato italiano è altrettanto rivelatore: quasi la metà degli intervistati considera la sua elezione una “cattiva notizia”, e il 44% teme che minacci la pace mondiale. Non si tratta di ostilità ideologica: è una diffidenza fondata sull’esperienza.

Durante il suo primo mandato, Trump ha minato la fiducia transatlantica con sistematica precisione: ritiri unilaterali da accordi internazionali, attacchi alle istituzioni multilaterali, colpi bassi all’alleanza NATO, flirt con leader autoritari. La sua idea di politica estera, fondata su interessi immediati e sulla spettacolarizzazione del potere, ha lasciato cicatrici profonde. La comunità internazionale non ha dimenticato. E oggi, la sua rielezione appare più come una minaccia che come un’opportunità.

L’aspetto più significativo del sondaggio dell’Ecfr è il dato trasversale: anche nei Paesi che tradizionalmente guardano agli Stati Uniti con simpatia, come la Polonia, o persino l’Ungheria, cresce il pessimismo. A Budapest e Bucarest, l’indulgenza iniziale si sta trasformando in cautela. In Polonia, i cittadini che considerano “rotto” il sistema americano sono aumentati dell’11% in tre anni. A testimonianza che non basta una retorica muscolare per mantenere un’alleanza: serve affidabilità.

E qui sta il nodo cruciale. Donald Trump non è percepito come un leader affidabile. A livello internazionale, la sua credibilità è logorata da anni di incoerenza, egocentrismo e imprevedibilità. Le democrazie europee, per quanto attraversate da crisi interne, non possono permettersi un partner instabile, incapace di distinguere tra leadership e dominio, tra politica e spettacolo.

Il giudizio europeo, dunque, non è frutto di pregiudizi. È una diagnosi lucida su una figura politica che appare sempre più distante dai valori condivisi dell’Occidente. Se Trump intende davvero “fare di nuovo grande l’America”, dovrebbe cominciare col riconquistare la fiducia di chi, un tempo, guardava a Washington come a un faro. Oggi, quel faro vacilla. E l’Europa, nonostante le sue fragilità, ha imparato a non farsi più abbagliare.