
Tra il 21 e il 22 giugno 2025, una serie di esplosioni ha squarciato il cielo notturno dell’Iran. Gli Stati Uniti hanno lanciato un attacco mirato contro tre siti nucleari di importanza strategica: Isfahan, Natanz e, soprattutto, Fordow. Quest’ultimo, fulcro del programma di arricchimento dell’uranio della Repubblica Islamica, rappresentava il bersaglio più complesso: incastonato nella roccia a oltre 60 metri di profondità, richiedeva munizioni speciali per essere colpito. Per neutralizzarlo Washington avrebbe impiegato le potentissime bombe penetranti GBU-57A Massive Ordnance Penetrator (MOP), sganciate da bombardieri stealth B-2 Spirit.

Secondo fonti del Pentagono, sono stati utilizzati sette B-2 e oltre due dozzine di missili cruise. In totale, sarebbero state impiegate circa 75 testate convenzionali. Le immagini satellitari di Planet Labs mostrano i tunnel d’ingresso distrutti e il terreno alterato, ma l’entità del danno resta incerta.
Il bilancio ufficiale iraniano parla di oltre 220 morti e 1300 feriti. L’operazione israeliana denominata ‘Leone Risorto’ prosegue ormai da giorni con l’obiettivo dichiarato di smantellare l’apparato nucleare e militare iraniano. In risposta, Teheran ha lanciato missili balistici verso il territorio israeliano, provocando 24 vittime secondo quanto riferito da Dmitry Gendelman, consigliere del premier israeliano.

Mosca, attraverso il ministero degli Esteri, ha condannato l’attacco americano come “una palese violazione del diritto internazionale” e ha chiesto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU una risposta immediata. Anche Dmitrij Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, ha scritto su Telegram: “Le infrastrutture critiche non sono state distrutte. L’arricchimento nucleare continuerà. Il regime iraniano non solo è sopravvissuto, ma si è rafforzato”. Sempre secondo Medvedev, ci sono paesi pronti a fornire all’Iran un proprio arsenale nucleare. Una frase che alimenta il rischio di una corsa all’atomica in Medio Oriente.
La posizione del Cremlino è di fatto ambivalente. La guerra in Ucraina prosciuga risorse e attenzioni. Come riportato dalla BBC, la Russia, dopo il crollo del regime di Assad, ha perso peso in Medio Oriente. E ora, pur definendo l’Iran “partner strategico”, non mostra intenzioni concrete di intervento.
L’analista Hanna Notte ha dichiarato alla BBC: “Putin si è calato nella parte di mediatore globale, ma non è disposto a sacrificare nulla per Teheran”. Anche Fabrice Balanche, del Washington Institute, sottolinea: “Mosca non aiuterà un alleato debole, come non ha aiutato Assad nel momento finale”.
Nel silenzio generale del blocco BRICS, solo Putin ha preso parola. In un messaggio rilanciato via Telegram, ha affermato che il gruppo lancerà nuove iniziative nel campo dell’energia nucleare, della robotica, dell’intelligenza artificiale e del miglioramento del tenore di vita. Nessun riferimento diretto all’attacco, ma il tempismo del messaggio è stato letto da Interfax come una volontà di ribadire la centralità geopolitica russa in settori chiave.
È un’escalation o un punto di svolta? Stando alle dichiarazioni iraniane, i siti colpiti non avrebbero subito danni irreparabili. Ma se l’intento fosse stato quello di scoraggiare l’Iran dal portare avanti il proprio programma nucleare, l’effetto, allora, rischierebbe di essere diametralmente opposto.
“L’Iran non farà marcia indietro. Anzi, questo attacco potrebbe accelerare la decisione politica di dotarsi della bomba atomica”, ha dichiarato ai media un alto funzionario del governo iraniano sotto anonimato. L’ayatollah Ali Khamenei ha parlato di “aggressione satanica” e ha convocato una seduta d’emergenza del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale.
Leonid Slutskij, leader del Partito Liberal-Democratico russo (LDPR), ha dichiarato che la data scelta dagli Stati Uniti per colpire è “simbolicamente inquietante”: lo stesso giorno e quasi alla stessa ora in cui Hitler attaccò l’URSS nel 1941. “Un nuovo 22 giugno. Ma questa volta è Washington ad aprire il fronte orientale”, ha detto.
Il paragone, estremo e propagandistico, trova comunque eco in un sentimento diffuso: l’Occidente ha riaperto il vaso di Pandora. Non solo rischia di incendiare l’intera regione, ma mina la legittimità dell’ONU e del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), come denunciato anche dal ministero degli Esteri russo.
Le cancellerie europee per ora tacciono. La Cina chiede “moderazione”. La Turchia si dice “profondamente preoccupata”. Intanto, le immagini di Fordow ferito fanno il giro del mondo. E l’ombra lunga dell’atomica si allunga ancora.
Il Medio Oriente brucia. E questa volta, il fuoco potrebbe non restare confinato alle sue terre.
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