
Il 15 maggio 2025, durante il vertice informale dei ministri degli Esteri della NATO ad Antalya (Turchia), il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato che l’Italia ha raggiunto l’obiettivo NATO del 2% del PIL destinato alla spesa per la difesa. Tajani ha affermato l’invio di una lettera al Segretario Generale della NATO, Mark Rutte, illustrando le misure adottate per raggiungere tale obiettivo. Ma davvero l’Italia ha centrato questo traguardo o si tratta soltanto di una dichiarazione politica scollegata dai dati di bilancio?
I numeri reali della spesa per la difesa
Sfogliando il Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa 2023-2025, emerge che l’Italia si era prefissata di raggiungere la spesa in difesa al 2% del PIL soltanto entro il 2028. Per il 2025, l’obiettivo ufficiale era più contenuto, pari all’1,45% del PIL. Il Documento di Finanza Pubblica (DFP) 2025 rafforza questa previsione, stimando la spesa per la difesa intorno ai 35,4 miliardi di euro, pari all’1,57% del PIL. Un valore in crescita rispetto ai 31,3 miliardi spesi nel 2023, ma comunque ancora lontano da quel 2% sbandierato pubblicamente.
Il divario non è irrilevante: mancherebbero circa 10 miliardi di euro per colmare la distanza tra le previsioni ufficiali e l’obiettivo NATO. Non solo: nel DFP 2025 non sembrano essere previste risorse sufficienti per coprire questa differenza. Tajani ha tuttavia anticipato che sarà la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, a rendere ufficiale questo obiettivo in sede NATO, durante il vertice dell’Aja previsto dal 24 al 26 giugno.
Quali sono le vere priorità del bilancio italiano?
L’aumento della spesa per la difesa riporta l’attenzione su un tema fondamentale: dove vanno davvero le risorse pubbliche italiane? Da decenni, l’Italia dimostra una certa ritrosia nell’investire in istruzione, un ambito strategico ma con ritorni poco immediati. Lo confermano i numeri Eurostat: nel 2021 la spesa per l’istruzione era pari al 4,1% del PIL, scesa al 4,0% nel 2022 e ulteriormente ridotta al 3,9% nel 2023. Un trend in calo, specchio di una disattenzione cronica.
Anche la sanità non se la passa meglio: secondo i dati OCSE, si è passati dal 9,0% del PIL nel 2021 all’8,7% nei due anni successivi. In altre parole, mentre si parla di “Spesa per difesa al 2%”, si riducono i fondi per servizi fondamentali per il benessere e il futuro del Paese.
Difesa in media, sanità e istruzione fanalino di coda
Guardando al resto d’Europa, emerge con chiarezza un’altra storia. La Germania ha aumentato la propria spesa per la difesa portandola dall’1,3% all’1,5% tra il 2021 e il 2023, mantenendo però la sanità stabile al 12,7% del PIL e aumentando la spesa per l’istruzione fino al 5%. La Francia è già arrivata al 2% del PIL per la difesa, ma continua a investire massicciamente in sanità (11,9%) e in istruzione (5,5%).
La Spagna, sebbene abbia speso meno dell’Italia per la difesa (1,3% nel 2023), ha destinato più risorse sia alla sanità (10,7%) che all’istruzione (4,6%). I Paesi Bassi sono rimasti stabili con l’1,5% per la difesa, mentre mantengono una sanità all’11,3% e l’istruzione al 5%. La Svezia ha visto crescere la spesa per la difesa fino all’1,8%, ma resta tra le migliori per sanità (11,2%) e istruzione (7,2%). E la Danimarca? Anche qui difesa all’1,5%, ma con una spesa sanitaria al 10,8% e per l’istruzione al 6,5%.
Il quadro è chiaro: nella maggior parte dei Paesi europei, l’incremento della spesa per la difesa non ha compromesso gli investimenti in settori chiave come sanità e istruzione. In Italia, invece, si assiste a uno squilibrio strutturale. La spesa per la difesa si colloca nella media europea, ma quella sanitaria e quella educativa restano tra le più basse del continente.
Chi drena davvero il bilancio pubblico italiano?
Nel pieno della discussione sulla “Spesa per difesa al 2%”, conviene guardare più a fondo nel bilancio statale. Secondo il DFP 2025, la spesa pensionistica in Italia ha raggiunto i 337 miliardi di euro, pari al 17,2% del PIL: il livello più alto in Europa. A ciò si aggiunge una spesa per interessi sul debito di circa 100 miliardi di euro (5,1% del PIL). Il tutto mentre il debito pubblico complessivo si attesta al 137% del PIL, un dato che pone l’Italia al terzo posto nel mondo, dietro solo a Giappone e Grecia.
Alla luce di questi numeri, è evidente che le vere priorità per l’Italia dovrebbero essere il contenimento della spesa pensionistica e della spesa per interessi, due macigni che gravano sulle casse pubbliche e limitano fortemente lo spazio per manovre fiscali espansive. Serve una strategia che punti a liberare risorse da queste rigidità, destinandole a investimenti produttivi e di lungo termine, in primis nell’istruzione. Se l’Italia vuole davvero centrare l’obiettivo NATO del 2% del PIL per la difesa, deve farlo ripensando la propria architettura di spesa pubblica, senza penalizzare ulteriormente settori fondamentali come la sanità e l’istruzione.
Adesso servono scelte strategiche, non solo slogan.