Più Tasse, Meno Investimenti: le Scelte Fiscali che Frenano la Crescita

L’aumento delle entrate fiscali in Italia ha finanziato la spesa corrente, ma la compressione degli investimenti pubblici rischia di minare la crescita e l’equilibrio di lungo periodo

Entrate fiscali in Italia

Il Documento di Finanza Pubblica 2025 e la Relazione annuale sul Piano Strutturale di Bilancio di medio termine offrono un messaggio chiaro: le entrate fiscali in Italia sono aumentate fino al 42,6% del PIL, grazie all’inflazione, all’aumento dei redditi nominali e ai contributi sociali. Tuttavia, queste risorse hanno finanziato principalmente la spesa corrente, che nel 2024 è cresciuta del 4,5% per i redditi da lavoro e del 5,6% per le pensioni, mentre la spesa in conto capitale è crollata del 39,9%, passando da 196,1 a 117,8 miliardi di euro. La riduzione degli investimenti pubblici, dovuta anche alla fine del PNRR, rischia così di compromettere la crescita potenziale e la sostenibilità del debito pubblico nel medio-lungo termine.

Fiscal drag: la spesa che non diventa sviluppo

Nel 2024 le entrate fiscali in Italia sono cresciute del 3,7%, spinte da fenomeni automatici come il fiscal drag: l’inflazione ha aumentato i redditi nominali, facendo scattare molti contribuenti in scaglioni IRPEF più elevati e generando così un gettito maggiore anche senza un reale aumento del potere d’acquisto. A ciò si sono aggiunti un aumento dell’occupazione e un’inflazione ancora sostenuta, che hanno ampliato la base imponibile.

Tuttavia, quasi tutte queste risorse sono state assorbite dalla spesa corrente, senza contribuire a un rilancio strutturale dell’economia. Secondo il Documento di Finanza Pubblica 2025, la spesa per prestazioni sociali in denaro ha raggiunto i 446 miliardi di euro (20,3% del PIL), in crescita del 5,1% rispetto al 2023. La componente pensionistica ammonta a 337 miliardi (+5,6%), mentre le altre prestazioni sociali si attestano a 109 miliardi (+3,5%), con i redditi da lavoro dipendente che hanno raggiunto i 196,6 miliardi, in aumento del 4,5%. Questi incrementi riflettono una dinamica strutturale che continua a privilegiare la spesa corrente, a scapito degli investimenti pubblici.

Addio al PNRR, addio agli investimenti pubblici?

Mentre la spesa corrente cresce, quella in conto capitale si riduce sensibilmente. Il calo è dovuto soprattutto al crollo dei crediti edilizi legati al Superbonus e al progressivo esaurimento dei trasferimenti europei del PNRR, che termineranno nel 2026. Secondo il DFP 2025, la spesa in conto capitale è passata da 196,1 miliardi nel 2023 a 117,8 miliardi nel 2024, con una riduzione del 39,9%. I contributi agli investimenti, in particolare, sono scesi del 60,4% (da 81,5 a 32,3 miliardi). In rapporto al PIL, la spesa in conto capitale passerà dal 7,6% del 2023 al 5,0% nel 2027, evidenziando una tendenza strutturalmente decrescente.

Dal 2027 calerà anche il rapporto tra entrate totali e PIL. Il governo, al momento, non ha previsto un piano per compensare il calo degli investimenti. Anzi, sceglie di contenerli per rispettare il nuovo limite europeo alla crescita della spesa netta (+1,7% annuo). Questa strategia consente un maggiore controllo del debito nel breve periodo, ma rischia di frenare la crescita. Meno investimenti significano meno occupazione e produttività, di conseguenza, anche la capacità di ridurre il debito in modo strutturale si indebolisce.

 Spesa corrente “politicamente visibile” e miopia di bilancio

La scelta di privilegiare la spesa corrente rispetto agli investimenti pubblici non dipende solo da vincoli tecnici o di cassa. È anche, e forse soprattutto, una scelta politica guidata dal consenso. Le voci di spesa corrente sono politicamente visibili: producono effetti rapidi e concreti su salari, pensioni e agevolazioni fiscali, risultando più spendibili in termini elettorali.

Gli investimenti in conto capitale, invece, richiedono tempo. Servono anni per vedere gli effetti su produttività e salari reali, spesso oltre la durata di una legislatura. Per questo motivo non entrano facilmente tra le priorità dei governi. Anche quando le entrate fiscali in Italia crescono – come dimostrato nel 2024 – le risorse vengono destinate a spesa corrente piuttosto che a investimenti strutturali. Il risultato è una spesa pubblica sempre più sbilanciata sul breve termine, che rischia di sacrificare la crescita futura per mantenere stabilità politica nel presente.

Un Paese che punta a ridurre il debito senza compromettere il welfare deve cambiare rotta. Questa è la riforma fiscale più urgente: spostare risorse verso investimenti strutturali. Serve una visione di lungo periodo, che guardi oltre la prossima legge di bilancio. Se vogliamo davvero rilanciare salari, produttività e opportunità per le nuove generazioni, il baricentro della politica economica deve orientarsi al futuro.