
L’Europa dei “volenterosi” esiste, ma i suoi confini sono più sfumati di un quadro impressionista. Londra, Parigi e Berlino guidano il gruppo, determinati a proteggere l’Ucraina con mezzi sempre più incisivi. Chi c’è dentro? Chi è fuori? Difficile dirlo. L’unica certezza è che uscire da questo giro significa perdere peso politico in un’Unione Europea sempre più fluida e selettiva.
Giorgia Meloni, inizialmente titubante, ha scelto in extremis di partecipare alla videocall organizzata da Keir Starmer. Una mossa dettata più dal pragmatismo che dall’entusiasmo. D’altronde, l’Italia può davvero permettersi di restare ai margini di un’alleanza che sta riscrivendo le regole del gioco?
Peacekeeping o guerra fredda 2.0?
Uno dei punti caldi è l’invio di truppe di peacekeeping in Ucraina, un’idea che Londra e Parigi spingono con fervore. Per Meloni, però, la faccenda è più spinosa: schierarsi apertamente significherebbe esporsi a critiche interne ed esterne, mentre restare neutrali rischia di farci apparire come semplici spettatori. Nel frattempo, Ungheria e Slovacchia si allontanano dall’UE come due isole alla deriva, mentre persino la Turchia rientra nei ranghi europei con una disinvoltura sorprendente. Insomma, gli equilibri sono più instabili che mai.
Il Consiglio Europeo: tra aiuti militari e il rischio di isolamento
Il tema della sicurezza ucraina sarà centrale al prossimo Consiglio Europeo. Un pacchetto da 40 miliardi di aiuti militari è sul tavolo, e la decisione sarà su base volontaria. Qui emerge la posizione complicata dell’Italia: se Meloni si avvicina troppo ai “volenterosi”, rischia di perdere consensi interni; se si defila, rischia l’irrilevanza politica a Bruxelles.
Nel frattempo, la vicinanza a Donald Trump, che un tempo poteva sembrare un’assicurazione geopolitica, oggi appare più come una spada di Damocle. L’attuale presidente USA è ritenuto poco affidabile dagli alleati europei, e ogni riferimento a lui viene accolto con un’alzata di sopracciglia nei corridoi del potere.
Riarmo europeo: la parola proibita
A complicare il tutto c’è il tema del riarmo dell’UE, fortemente sostenuto da Parigi e Berlino. Per Meloni, però, il vero campo minato è interno: Matteo Salvini e la Lega non vedono di buon occhio la parola “riarmo” e il pressing per eliminarla dal linguaggio ufficiale sembra aver avuto successo. Ma davvero basta rimuovere un termine per evitare il problema?
Intanto, la maggioranza italiana appare sempre più divisa: FdI, Lega e FI faticano a trovare una sintesi su un tema che sta ridefinendo la politica europea. La sintesi, però, è inevitabile. L’Italia non può permettersi di restare fuori dal tavolo delle decisioni, ma nemmeno di spaccarsi su un tema così cruciale.
La difficile arte dell’equilibrismo
Giorgia Meloni si trova dunque in un gioco di equilibri sottilissimi. Da un lato, l’esigenza di mantenere saldi i rapporti con i grandi d’Europa; dall’altro, la necessità di non scivolare su questioni interne che potrebbero minarne la leadership. La politica estera è spesso una questione di percezione: mostrarsi esitanti equivale a perdere influenza.
La partita che si gioca in questa primavera europea non riguarda solo il futuro dell’Ucraina, ma anche il ruolo dell’Italia in un continente in rapido mutamento. E il rischio di restare ai margini è sempre dietro l’angolo. Sarà in grado Meloni di trovare un punto di caduta senza inciampare? La risposta arriverà nei prossimi mesi, tra Consigli Europei, giochi di potere e, inevitabilmente, qualche colpo di scena.