
L’Italia ha perso un’occasione d’oro per dimostrare concretamente il rispetto dei diritti umani e il suo impegno verso la giustizia internazionale. È questo il duro monito lanciato da Carla Del Ponte, ex procuratore del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, in un’intervista che suona come una denuncia contro l’inerzia e le ambiguità politiche delle istituzioni italiane.
Il caso Almasri e il fallimento italiano
Il caso ruota attorno alla mancata consegna di Almasri, un ricercato internazionale, alla Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja. Un mandato di arresto internazionale che avrebbe dovuto essere eseguito immediatamente è stato, invece, bloccato con una giustificazione tanto vaga quanto preoccupante: un presunto “pericolo” nella procedura. Ma quale pericolo si cela dietro il rispetto di un obbligo internazionale? Per Carla Del Ponte non ci sono dubbi: si tratta di un errore imperdonabile che getta ombre sull’indipendenza e la trasparenza del sistema giudiziario italiano.
L’esempio di Milošević e il paragone impietoso
La Del Ponte ha sottolineato come, già in passato, casi simili siano stati gestiti con decisione e senso di responsabilità. “Milošević fu arrestato e subito portato all’Aja con un volo privato,” ricorda l’ex procuratore. Allora, come mai Almasri non è stato trattato con la stessa determinazione? Il mancato rispetto del mandato non solo indebolisce l’autorevolezza dell’Italia sul piano internazionale, ma tradisce il principio fondamentale dello Stato di diritto: che nessuno è al di sopra della legge, nemmeno chi, per ragioni politiche, ritiene di poter ignorare gli obblighi internazionali.
Le critiche al ministro Nordio e al governo italiano
Del Ponte non risparmia critiche nemmeno al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, accusato di non conoscere nemmeno gli articoli fondamentali dello Statuto di Roma, il trattato istitutivo della Cpi. Secondo l’ex procuratore, Nordio aveva un compito semplice: eseguire il mandato senza esitazioni. Parlare di “segreto di Stato” in questo contesto appare, per Del Ponte, quasi ridicolo: “Su cosa? Su un criminale ricercato per orrendi crimini?”. Eppure, la scelta dell’Italia di sottrarsi ai propri obblighi sembra più dettata da calcoli politici che da reali impedimenti giuridici.
L’Italia e il suo rapporto controverso con la giustizia internazionale
Questo episodio si inserisce in un contesto più ampio di atteggiamenti ambigui da parte del governo italiano verso le istituzioni internazionali. La stessa Del Ponte ha definito “un incomprensibile vassallaggio” il rifiuto dell’Italia di aderire alla posizione europea sulle sanzioni contro la Cpi imposte dall’amministrazione Trump. Una decisione che mette in discussione il ruolo dell’Italia come garante dei diritti umani e della giustizia internazionale.
Un danno politico e morale per il paese
Ma il prezzo di questa ambiguità non è solo politico: è morale. Con il caso Almasri, l’Italia non ha semplicemente fallito nel rispettare un mandato internazionale; ha mandato un messaggio preoccupante al mondo, quello di un paese pronto a sacrificare i diritti umani sull’altare delle convenienze politiche.
Il bivio per l’Italia: leadership o inazione?
La giustizia internazionale non è un gioco, e l’Italia ha il dovere di fare la sua parte con serietà e trasparenza. Ogni esitazione o compromesso mina non solo la nostra credibilità internazionale, ma anche la fiducia dei cittadini italiani in un sistema giuridico che dovrebbe essere esempio di imparzialità e rigore. Il caso Almasri deve essere un punto di partenza per una riflessione profonda: l’Italia vuole davvero essere un leader nella difesa dei diritti umani o preferisce restare spettatrice passiva di fronte alle ingiustizie?